IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza.
   Considerato che questo tribunale con provvedimento  del  g.u.p.  di
 Catanzaro  del  26  giugno  1996  veniva  investito  del giudizio nel
 procedimento penale  a  carico  di  Bottone  Angelo,  Bottone  Luigi,
 Carnevale  Felice,  Chiappetta  Giusi,  D'Amato  Alessandro,  De Fino
 Raffaele, De Maria Antonio, Gerardini  Giancarlo,  Papa  Luigi,  Papa
 Stefano,  Piccolo  Vittorio,  Rogato  Pasquale,  Salsini  Paolo, Tufo
 Antonello, Vivone Domenico e Femia  Nicola,  imputati  del  reato  di
 associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti ed
 altro;
     che   preliminarmente   al  dibattimento  il  p.m.  della  D.D.A.
 competente chiedeva a questo tribunale  misure  cautelari  coercitive
 (custodia in carcere) nei confronti di buona parte degli imputati;
     che   questo  tribunale  nella  composizione  attuale  dopo  aver
 esaminato gli atti del  p.m.  accoglieva  la  quasi  totalita'  delle
 richieste  ordinando  la  cattura  ovvero  gli arresti domiciliari di
 numerosi imputati;
     che all'udienza dibattimentale odierna il Collegio  con  medesima
 composizione  del precedente (che aveva adottato le misure personali)
 e' chiamato a trattare in fase di  giudizio  il  procedimento  penale
 sopra indicato.
   Tanto  premesso,  ritiene il Collegio che, tutti i componenti dello
 stesso, avendo compiuto un penetrante esame del fascicolo del p.m.  e
 avendo percio' gia' conosciuto  delle  vicende  processuali  ai  fini
 delle  adozioni  delle  indicate  misure  cautelari  versino  in  una
 situazione  di  incompatibilita'  ai  sensi  dei   recenti   principi
 enucleati dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 432 del 1995,
 n. 131 e n.  155 del 1996 nella interpretazione dell'art. 34, secondo
 comma,  c.p.p.,  perche' in contrasto con gli artt. 3, 24 e 101 della
 Costituzione;
   Ed   invero   e'   stato   affermato   che   la   normativa   sulla
 incompatibilita'  del  giudice  mira  ad  impedire che la valutazione
 conclusiva sulla responsabilita' dell'imputato sia, o possa apparire,
 condizionata dalla cosiddetta forza  della  prevenzione  e  cioe'  da
 quella  naturale  tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un
 atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello  stesso
 procedimento;
     che  la valutazione espressa in ordine alla sussistenza dei gravi
 indizi di colpevolezza in sede di adozione di  una  misura  cautelare
 personale,  involgendo  un  giudizio  di merito sulla idoneita' degli
 elementi probatori raccolti a fondare  una  elevata  probabilita'  di
 condanna,    si   riflette   necessariamente   sulla   serenita'   ed
 imparzialita'  del  giudizio  e  radica   pertanto   un   motivo   di
 incompatibilita';
     che   il  cosiddetto  "giusto  processo"  postula  l'esigenza  di
 imparzialita' e terzieta' del giudice;
     che,  pertanto, la incompatibilita' del giudicante e' finalizzata
 ad  evitare  ogni   forma   di   condizionamento   o   apparenza   di
 condizionamenti  derivanti da precedenti valutazioni del medesimo, in
 modo da rendere pregiudicata in sostanza o in  apparenza  l'attivita'
 di giudizio;
     che tali principi valgono, per espressa affermazione della Corte,
 non  solo  nel  rapporto  tra fasi diverse del giudizio, ma anche nel
 rapporto  tra  assunzione  di  provvedimenti  cautelari  personali  e
 giudizio  sul merito della imputazione, poiche' le pronunce cautelari
 presuppongono sempre un giudizio prognostico di segno positivo  sulla
 responsabilita'  ancorche'  basato  su  indizi e non ancora su prove;
 giudizio ancor piu' evidente in esito alle recenti riforme  normative
 in  materia  che  hanno  sostituito  (art. 273 c.p.p.) il presupposto
 della  misura  cautelare  nella  sussistenza  di  gravi   indizi   di
 colpevolezza   in   luogo  dei  sufficienti  indizi  richiesti  dalla
 normativa  preesistente  e  che  richiedono  (art.  292  c.p.p.)  una
 pregnante  valutazione  e  specificazione  degli  indizi e della loro
 rilevanza con la esclusione  degli  argomenti  difensivi,  ed  infine
 (art.  273  cp.p., secondo comma) della deduzione di insussistenza di
 cause ostative alla condanna o alla pena.
   Ne consegue in conclusione che le valutazioni compiute dal  giudice
 in  relazione alla adozione di una misura cautelare personale poiche'
 inducono a ritenere l'esistenza  di  una  ragionevole  e  consistente
 probabilita'   di   colpevolezza,   indipendentemente   dal  rapporto
 funzionale e strutturale tra il procedimento cautelare e il  processo
 di cognizione comportano un pregiudizio sul merito dell'accusa;
     che  nella specie la questione appare rilevante poiche' avendo il
 Collegio esaminato la quasi totalita' delle posizioni degli  imputati
 ha gia' espresso con l'adozione dei provvedimenti cautelari personali
 "un pre-giudizio" sugli elementi di colpevolezza a loro carico;
     che  non  si  versa quindi nelle ipotesi di valutazioni meramente
 formali o  di  natura  incidentale  (C.C.  n.  177/1996)  dovendo  il
 Collegio  reiterare nella fase dibattimentale le valutazioni compiute
 nell'esame propedeutico alla adozione delle misure cautelari;
     che le decisioni sulla liberta'  personale  sono  ontologicamente
 diverse  e  distinte  da quelle inserite e quindi assorbite nell'iter
 procedimentale che conduce all'accertamento della  responsabilita'  e
 percio'   non   possono   essere  ricomprese  in  quelle  valutazioni
 preliminari  (di  cui  alla  sentenza   n.   131/1996   della   Corte
 costituzionale) destinate a sfociare nella valutazione conclusiva;
     che  la  incompatibilita' derivante al giudice per avere respinto
 la richiesta  di  patteggiamento  presentata  prima  dell'inizio  del
 dibattimento,  pur  ritenuta  dalla  Corte (sent. n. 186 e n. 389 del
 1992) sembra di minor peso rispetto a quella ipotizzata,  conseguente
 all'adozione  di  misure  cautelari,  comportando questa a differenza
 della prima non un mero controllo delle condizioni di  legge,  ma  un
 esame  penetrante  di  merito  sulla responsabilita' dell'imputato di
 spessore "pregiudicante".